come quattro anni fa

Mi sono chiesta molte volte se fosse il caso di ripetere l’esperienza del 2008.

In quell’anno, a pochi giorni dalle elezioni americane, le seconde a cui ho potuto votare, mi sono sentita un po’ stretta all’idea di passare un’altra volta la notte sul divano a stare in ansia da sola col fuso.
E allora ho prenotato un volo e tre giorni dopo ero a chicago, al quartier generale della campagna presidenziale per questo tizio fino a pochi mesi prima sconosciuto. Barack Obama.

La cui figura era riuscita ad incuriosire moltissimi anche da questa parte dell’Atlantico. Incuriosire, prima. Appassionare, poi.

Da quella straordinaria esperienza ne è sorto, in maniera molto spontanea, quasi naturale, Una settimana con Obama, che fu un inatteso successo proprio per il bisogno che avevo avvertito anch’io, da lontano, di avere occhi e braccia in quella campagna che -lo sapevamo tutti- avrebbe fatto la differenza per il mondo intero. Bisogno che evidentemente condividevano in molti tra i miei amici, persino non americani. Che hanno seguito questa mia avventura e quell’assurda notte a cardiopalma.

Ecco, è a loro che voglio dedicare questa ripartenza. Mi sono chiesta spesso se fosse il caso di ritornare, un po’ perché sapevo avrebbe avuto per forza un sapore diverso rispetto ad allora, un po’ perché, dopo tutto, non è che Obama oltre alle cose giuste non abbia fatto (o meglio non fatto) anche alcune cose che mi hanno delusa. Ma lo dicevo anche allora. Le aspettative erano troppo alte. Sgombriamone il campo di gioco.

Senza le aspettative di cui era stato inizialmente inondato, rimane un Presidente. Tutto sommato un ottimo presidente. Che ha osato molto dove altri non hanno nemmeno rivolto lo sguardo. Che sicuramente su certi fronti poteva fare di più, e che sicuramente su altri farà molto ancora.

E io questa possibilità gliela voglio dare. Un po’ perché se guardo dall’altra parte mi vengono i brividi. Un po’ perché in fondo in quanto italoamericana questa schizofrenia è dovuta, se dovessi scegliere il mio candidato ideale con gli stessi criteri che uso in Italia credo sarei costretta a vita a far scheda bianca, in un sistema elettorale e partitico come quello americano. Un po’ perché, l’ho detto, su certe cose l’avrei voluto più incisivo, ma resta che in molte di quelle che ha fatto, mi ha pur sempre fatto venire la pelle d’oca.

Per questo eccomi di nuovo qui, la notte prima di un volo per Chicago. Con la stessa voglia di tornare a casa tra una settimana con una splendida vittoria. Cross your fingers.

e.

Election Rally Grant Park, Chicago, 4 novembre 2008

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